La nostra è un'epoca verticale. Il verticale determina quasi ogni aspetto dell'esistenza, dal più frivolo al più importante. C'è questa inclinazione a crescere senza espandersi, a salire senza esplorare. Nel lavoro la verticalità ha creato gerarchie esistenziali dove solo gli iper-specialisti ottengono riconoscimento. Si pensi al paradosso delle "T-shaped skills", che rappresentano un ideale equilibrio tra competenze trasversali (la barra orizzontale) e specializzazione (l'asta verticale), eppure nelle pratiche assuntive prevale la verticalità estrema. Nascono così geni incapaci di dialogare oltre il loro pixel di conoscenza, mentre i generalisti vengono sempre più spesso scartati.
I mezzi di trasporto delle grandi città costringono individui alla verticalità, nell'equilibrio precario dei monopattini o nell'asfissiante affollamento di autobus e metropolitane che non concedono posti a sedere. Le compagnie aeree studiano sedili a strapiombo per massimizzare i profitti: la verticalità si associa all'esigenza di rapidità, risparmio, efficienza.
Nell'architettura, la verticalità è biografia del potere. Le città più importanti e ricche del pianeta si distinguono per edifici sempre più alti, a indicare anche una verticalità che segna lo stacco, ormai evidente, tra le classi sociali. I grattacieli non sono più simboli di progresso ma lapidi di marmo che sigillano il patto tra capitale e hybris. Il Burj Khalifa (828m) e il prossimo Jeddah Tower (1km) sono termometri della febbre sociale: più la base si allarga, più la cima si assottiglia.
I social network impongono la verticalità dei contenuti: i canali devono attenersi a specifici argomenti e i creativi che faticano a viaggiare su monorotaie tematiche sono destinati a deragliare dalle timeline. Marshall McLuhan sosteneva che "il medium è il messaggio", cioè che il mezzo attraverso cui comunichiamo (TV, stampa, radio, ecc.) ha un impatto culturale spesso più profondo del contenuto trasmesso. I social network, in questo contesto, sono l'incarnazione perfetta di questa teoria: più del contenuto condiviso, è la struttura stessa dei social a influenzare il modo in cui pensiamo, ci relazioniamo, esistiamo nel mondo. L'ossessione per i contenuti verticali tradisce un cambio antropologico: non più occhi che abbracciano orizzonti, ma pupille che scannerizzano la realtà in strisce verticali. Il formato 9:16 non è solo adattamento tecnologico, è catechismo visivo, e questo alla faccia di decenni di ricerche e di investimenti nel settore cinematografico mirati all'allargamento della visione (si pensi a Cinemascope, Cinerama, VistaVision, Todd-AO, Panavision, Ultra Panavision 70); alla faccia del superamento del tubo catodico a favore di schermi digitali finalmente più larghi. Per quanto i video verticali siano sempre più influenti, lo sguardo dell'essere umano resta per sua natura orizzontale. C'è inoltre uno stretto rapporto tra il guardare e il pensare, non a caso diciamo che un uomo è di "larghe vedute" quando riteniamo che abbia una mente aperta, capace di accogliere e valutare idee diverse dalle proprie. Ecco dunque che c'è una coincidenza tra il restringimento tematico e il restringimento visivo imposto dai social: l'impressione è quella di osservare il mondo da una fessura. Sì dirà che però i televisori sono sempre più grandi e larghi, eppure i filmati realizzati con i droni - a dire il vero abusati - addomesticano lo sguardo alla verticalità e ridefiniscono un linguaggio dell'immagine del tutto nuovo. I drone shot sono una nuova sintassi visiva. Lo sguardo aereo, ormai onnipresente, così come quello verticale, non è certo nella natura umana, semmai lo è più il guardare dal basso, da dentro. Ecco ancora la verticalità, dunque, nella visione dall'alto al basso. Verticalità che, dominata dalla frenesia e dalla rapidità di fruizione dei contenuti, si ripercuote anche sulla percezione del tempo addensando la vita in un presente brevissimo, fatto di pochi istanti.
Non è certo l'accoglimento di tutte le filosofie che invitano a godere del presente, non è il "carpe diem" delle Odi di Orazio, ma è un presente effimero che brucia e dissolve il tempo delle emozioni. Tutto quello che viene prima o dopo è tagliato fuori. Un verticalità che dimentica presto il passato e che non pianifica futuro.
Sorgono intanto, per fortuna, primi segnali di resistenza. I movimenti slow food e slow fashion provano a riportare il tempo sulla linea orizzontale. Le nuove generazioni, nate verticali, riscoprono il piacere eretico dei formati lunghi: podcast di 4 ore, streamer che giocano 24h live, ritorno al vinile. Forse stiamo assistendo a un contro-movimento dialettico: più la verticalità ci schiaccia, più nascondiamo il desiderio di sdraiarci.
Intanto questo testo, come tutti i contenuti dell'epoca verticale, sparirà con un semplice scroll, verticale.
Registrati alla newsletter
Massimo un messaggio al mese!Registrandoti alla newsletter riceverai esclusivamente informazioni sugli eventi relativi alle mie attività e sulle mie nuove pubblicazioni.