La chitarra elettrica nasce dall'esigenza pratica di farsi sentire, di emergere dall'impasto acustico dei locali affollati, dalla coltre sonora degli altri strumenti delle orchestre jazz e in pochi decenni diventa il grido di una generazione intera. Non è solo una questione di volume: la chitarra elettrica urla contro regole, padri, silenzi imposti. È rabbia, amore, rivoluzione. Dai primi esperimenti di Eddie Durham, Charlie Christian, Les Paul, Sister Rosetta Tharpe alle esplosioni di suono di Jimi Hendrix, la chitarra elettrica si impone come simbolo di libertà. È un’estensione del corpo, un’arma nelle mani dei giovani in cerca di identità. Bastano tre accordi per dire tutto. E non importa saperla suonare bene: ciò che conta è l’urgenza di esprimersi. Eppure oggi il fascino della chitarra elettrica è sbiadito: il grido originario è ora un linguaggio codificato, il gesto istintivo che la rendeva protagonista si risolve in una disciplina accademica. Sono diverse le fasi che determinato questo declino.
La chitarra elettrica nasce negli Stati Uniti tra gli anni ’30 e ’40, in un’epoca in cui la musica dal vivo è spesso soffocata dal rumore degli ambienti affollati. Le big band dominano le scene e le chitarre acustiche faticano a emergere nel mix sonoro. È un problema tecnico, ma anche culturale: i chitarristi vogliono essere ascoltati, desiderano partecipare pienamente all'esperienza musicale. Le prime soluzioni sono rudimentali: microfoni applicati alla cassa, strumenti semiacustici amplificati. È con la nascita dei primi modelli solid body — su tutti la Fender Broadcaster (poi Telecaster) e la Gibson Les Paul — che lo strumento trova la sua voce. Non più un soffocato accompagnamento ritmico, ma una presenza centrale, capace di dominare la scena.
Parallelamente, il blues elettrico si fa strada nelle città industriali americane: Chicago, Detroit, St. Louis. Artisti come T-Bone Walker e Muddy Waters impugnano la chitarra amplificata per raccontare storie di dolore, speranza e orgoglio. È con loro La chitarra elettrica diventa uno strumento di denuncia, di riscatto, una dichiarazione di esistenza.
Negli anni ’60 la chitarra elettrica è già un simbolo. L’elettricità, che prima era solo un mezzo per potenziarne il suono, si trasforma in linguaggio. La distorsione, il feedback, l’effetto wah-wah aggiungono nuove forme di espressione portate alla ribalta soprattutto da Jimi Hendrix. Con lui la chitarra diventa fuoco, liquido, sogno, guerra. La suona con i denti, dietro la schiena, la sacrifica sul palco. È il mezzo attraverso cui canalizza una nuova spiritualità, ma anche il dolore e la rabbia della sua epoca.
In quegli anni, la chitarra elettrica è al centro della trasformazione del rock da musica d’intrattenimento a linguaggio culturale. I Beatles, i Rolling Stones, The Who: tutti pongono la chitarra al centro della scena. Non è solo accompagnamento: è identità sonora. Anche nel blues bianco di Clapton, nel folk elettrificato di Dylan, nel garage rock di band minori, la chitarra è sempre più protagonista. È anche lo strumento della ribellione giovanile. Il volume, la distorsione, la carica emotiva: tutto contribuisce a creare una frattura con il passato.
Con il passare degli anni, la chitarra elettrica continua a evolversi, ma qualcosa cambia. Negli anni ’70 e soprattutto negli anni ’80, emerge una nuova figura: il chitarrista virtuoso. Non più ribelle, non più solo istintivo, ma tecnico, preciso, rapidissimo. Eddie Van Halen porta all'estremo la tecnica del tapping s rappresenta una svolta: la chitarra diventa spettacolo, acrobazia, competizione. Seguono Joe Satriani, Steve Vai, Yngwie Malmsteen. È l’era della chitarra-eroe, del palco come arena, dell’assolo come prova di forza.
Contemporaneamente, nascono scuole, metodi, accademie dedicate esclusivamente alla chitarra elettrica. Quello che era uno strumento accessibile a chiunque avesse qualcosa da dire — anche senza troppa tecnica — comincia a diventare qualcosa di più esclusivo. Si studia, si perfeziona, si impara la chitarra elettrica come uno strumento classico e in questo processo si perde l’urgenza, la rabbia, la libertà. La chitarra elettrica diventa uno strumento che va studiato, approfondito, che richiede impegno e sforzi pari a quelli di uno strumento da conservatorio, cosa certo nobile ma davvero poco rivoluzionaria. Il gesto si fa calcolo (vedi tecniche come lo speed picking che mirano a ottimizzare al massimo la pennata sulle corde), il suono si raffina, la distorsione si regola con precisione chirurgica. La chitarra elettrica, ormai perfetta, è un animale addomesticato. Non fa più paura ai padri. Non rappresenta più un grido, ma un esercizio. E così, lentamente, si allontana dai sogni di una nuova generazione.
Oggi, la chitarra elettrica sembra aver perso il posto centrale che aveva nella cultura musicale. È sempre meno presente nelle classifiche, nei live degli artisti pop, nella musica trap, nell’indie elettronico che domina le playlist. I giovani non la scelgono più come prima. Non perché non la conoscano, ma perché non la sentono più necessaria. Il suo suono non rappresenta più la loro urgenza.
Eppure, non si tratta di una vera scomparsa. La chitarra elettrica, piuttosto, si è ritirata ai margini, in territori più intimi, sotterranei. Vive nei bedroom producer che la usano come texture sporca e nostalgica, nei dischi lo-fi registrati su cassetta, nei revival post-punk e nei suoni slabbrati del rock alternativo. Non grida più, forse sussurra. Non guida la rivoluzione, ma accompagna chi ancora sente il bisogno di raccontarsi in modo ruvido, sincero.
Il declino della chitarra elettrica non è solo estetico, ma anche simbolico. La ribellione oggi passa da altri canali: le parole, le produzioni elettroniche, i social. La chitarra elettrica non è più il linguaggio dominante della gioventù, ma forse proprio per questo può tornare a essere libera. Libera da aspettative, da virtuosismi, dalle scuole.
La storia della chitarra elettrica è la storia di una voce che ha cercato, per decenni, di farsi sentire sopra il rumore del mondo. Ha urlato, ha cantato, ha sussurrato. Ha cambiato forma, significato, ruolo. Da simbolo di rivolta a icona pop, da gesto anarchico a esercizio di stile, ha attraversato le epoche seguendo le inquietudini di chi la imbracciava. Non uno status, non una dimostrazione di bravura, ma un bisogno espressivo. Forse tornerà ad attrarre proprio chi non vuole studiarla, ma usarla; chi non cerca il suono perfetto, ma una voce personale. In fondo la chitarra elettrica non è mai stata uno strumento per chi voleva solo suonare bene. Era soprattutto — ed è ancora — lo strumento di chi ha qualcosa da dire.
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